CAPITOLO 6 – I DUBBI E LE PERPLESSITA’ CHE ACCOMPAGNANO

“Ciascuno di noi ha in sé un non credente e un credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda e che rimandano continuamente domande pungenti l’uno all’altro” (Carlo Maria Martini)

Come sosteneva il cardinal Carlo Maria Martini nell’iniziativa della “Cattedra dei non credenti”, in noi convivono un credente e un non credente che si pongono a vicenda interrogativi, dubbi e perplessità suscitando inquietudini che ci spingono a porre basi più solide e ragionevoli al nostro credere.

Nella mia vita ho sempre cercato di pensare con la mia testa, di non accontentarmi di verità preconfezionate, ma di sforzarmi per comprenderne le ragioni e la fondatezza. Anche se non riusciremo mai a comprendere tutto, perché ad ogni scoperta si aprono nuove domande, ho sempre avvertito l’esigenza di cercare di comprendere le cose più in profondità, di spingermi fin dove gli strumenti che ho a disposizione mi permettono di arrivare.

Le mie inclinazioni verso le materie scientifiche mi hanno sempre guidato a cercare prove e dimostrazioni per ogni affermazione prima di accettarla ed assumerla tra le cose in cui credo. Questo vale anche per la fede religiosa e le varie dottrine e insegnamenti del catechismo. Siamo chiamati ad essere credenti, non creduloni.

Le varie formule dottrinali, che possono in un primo momento suscitare entusiasmo per la verità schematica che contengono, vanno digerite alla luce della pratica quotidiana, possono essere spunti o indicazioni utili per avvicinarci alla verità per approssimazione, ma sono limitate dal linguaggio e dalla cultura del momento in cui sono scritte.

Perché il male nel mondo?

La questione sulla quale mi sono posto e mi pongo maggiori interrogativi è senz’altro quella sul perché esiste la sofferenza, il negativo, il male nel mondo se Dio, che ha creato tutto, è amore, ci ama come un padre o una madre, è infinitamente buono? Perché nella creazione della natura è prevista anche la sofferenza, il dolore inspiegabile di un essere umano, addirittura di un bambino innocente? Perché questa natura in cui viviamo immersi è così imperfetta e a volte non sembra ‘cosa buona’, ma uscita dalle mani di creatore ‘pasticcione’?

Mi rendo conto che sono domande talmente grandi che non basta una vita per rispondere. Forse avremo risposte definitive solo al cospetto del creatore. Ma qualche ipotesi bisogna pure abbozzarla con i mezzi che abbiamo a disposizione.

Al catechismo ci hanno insegnato che alle origini il mondo era perfetto e che la sofferenza è un castigo divino a causa del peccato originale di Adamo ed Eva. La colpa non è quindi del creatore ma dei nostri progenitori, colpevoli di aver trasgredito al comandamento di Dio, e la cui colpa ricade su tutta l’umanità, quindi anche su di noi. A ben guardare Eva è stata tentata dal serpente, quindi la causa ultima è l’esistenza del diavolo tentatore, di un angelo che si è ribellato a Dio. Quindi la colpa originaria è dell’angelo ribelle. La venuta di Gesù e la sua morte in croce, secondo questo schema, è servito a riparare l’offesa recata dall’uomo a Dio e a ristabilire buoni rapporti. Ma non ha eliminato la sofferenza dal mondo, forse avrà placato l’ira di Dio verso l’uomo ribelle, ma il mondo rimane imperfetto.

L’intero impianto di questa spiegazione del perché esiste il male nel mondo non mi ha mai convinto. Da qualunque lato la si guardi, non regge per diversi motivi. Innanzitutto il racconto delle origini della Genesi non può essere interpretato come una narrazione storica di fatti realmente accaduti. Non si tratta di un libro di cronache antiche, ma di un altro genere letterario. Senza dubbio è un racconto simbolico, secondo cui all’origine di ogni peccato c’è la tentazione di prendere il posto di Dio, di decidere autonomamente che cosa sia bene e che cosa sia male. Un peccato ‘originario’, più che ‘originale’. E poi Dio non è un castigatore che si offende per un nonnulla e che richiede il sangue del figlio per riparare all’offesa. Mi sembra la mentalità di un mostro sanguinario, ben lontano dalla logica di un Dio che è amore. Anche la lettura secondo cui Dio offre suo figlio per riparare ad una disobbedienza degli uomini verso di lui, cioè prima castiga e poi in qualche modo cerca di riparare al proprio castigo, mi pare contorta e che non stia in piedi. Poi alla causa di tutto ci sarebbe un angelo ribelle che è sfuggito alla creazione perfetta di Dio.

Probabilmente questa interpretazione, nella storia della Chiesa, è stato un tentativo di scaricare le colpe che apparentemente sono di Dio con la sua creazione imperfetta, per caricarle sulle spalle dell’uomo.

Forse l’universo è imperfetto fin dalle origini. L’esistenza di un mondo alle origini in armonia perfetta, di una primordiale età dell’oro fa parte di leggende antiche (El Dorado, Eden) che affondano nella mitologia di diverse tradizioni. Ma una perfezione iniziale non c’è mai stata. Forse un mondo perfetto sarà in futuro, qui o in un’altra dimensione. Chi lo sa?

Se il male causato da un essere umano ad un altro essere umano può essere spiegato nella sua libertà di fare il bene o il male, il male che è insito nella natura, le malattie terribili che consumano il corpo che generano sofferenza, sembrano inspiegabili. Perché Dio non ha creato un mondo perfetto senza sofferenza?

Ho già scritto che la sofferenza non può essere legata ad una colpa personale. Non è una punizione che Dio mi manda per un fatto che ho commesso. Su questo punto Gesù è stato chiaro nel rispondere ad una domanda diretta dei suoi discepoli, contestando l’esistenza di un rapporto diretto tra disgrazie che accadono e peccati degli uomini (Lc 13,1-5). Questa immagine di Dio castigatore che ci punisce prontamente è contraria a quella del Dio presentato da Gesù. Non dobbiamo, quindi, propiziarci la sua benedizione per tener lontano i suoi malefici.

Non ritengo giusto neanche il cosiddetto ‘dolorismo’, secondo cui il dolore è la strada obbligata per purificarsi ad arrivare a Dio. Questo non avviene automaticamente in tutti i casi: in certi può succedere, la sofferenza può scavarci dentro e portarci in alto nel nostro cammino, se siamo in grado di accettarla e trarre uno stimolo positivo di crescita nella fede. In altri casi no, la sofferenza può ‘spezzarci dentro’ e renderci più cinici e insensibili, e quindi allontanarci da Dio.

Gesù non ha tolto il dolore dal mondo, non ci ha immunizzati, ma l’ha vissuto in prima persona e ci ha insegnato a dargli un senso e come viverlo, come esprimere amore anche di fronte all’odio. Il simbolo principale che accompagna noi cristiani è la croce, che richiama quanto ha sofferto Gesù per averci amato fino in fondo ed essere stato fedele a Dio, messo in croce da noi uomini per le cose apparentemente scandalose e folli che ha detto e fatto nella sua vita. Il donarsi fino a dare la propria vita, il proprio corpo e il proprio sangue, comporta anche dolore e sofferenza.

Quando Gesù ci ha detto ‘Chi vuole venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua’ significa che ognuno nella sua vita ha il proprio carico di dolori e sofferenze. Dobbiamo innanzitutto aiutare chi tra noi deve portare un carico maggiore di dolori e sofferenze. Secondo quanto ci ha detto Gesù, Dio è più vicino agli ultimi, al povero, al migrante, all’ammalato, al carcerato, alle persone più bisognose. E ogni cosa buona che facciamo venendo incontro ad uno di loro, è come se l’avessimo fatta a Lui. Quindi, Dio sta con chi soffre di più, Dio soffre insieme a lui e cerca di sollevarlo.

Quindi, Gesù non ci rende immuni dalla sofferenza e dal dolore che lui ha provato, ma ci insegna ad essere prossimi da chi ne è investito. Non ci offre spiegazioni filosofiche o metafisiche del perché non viviamo in un mondo perfetto senza sofferenza, ma ci invita ad accettare la situazione e a viverla senza dubitare dell’amore del Padre. La sua resuscitazione da parte di Dio è segno che il suo amore è più forte del male e della morte. Se abbiamo fiducia in Lui, il male e la morte non ci schiacceranno, non avranno l’ultima parola.

Nel cercare di decifrare perché esiste il male, trovo interessante l’immagine per cui l’ombra esiste perché c’è la luce, ma non è tutto luce. Se non esistesse l’oscurità non ci sarebbe l’evidenza della luce perché tutto sarebbe illuminato e nessuno saprebbe cosa comporterebbe la mancanza di luce. Il male e la sofferenza creano una situazione di contrasto che ci permette di capire cosa è il bene e il piacere.

E Satana il diavolo, padrone dell’inferno? Così come sull’esistenza di Dio non ci sono prove inoppugnabili, così anche per Satana. Come ho già scritto, la tradizione dell’angelo ribelle a Dio mi sembra più un’immagine fantasiosa che reale, per personificare il male che purtroppo è cosa reale.

Se il diavolo esiste, penso che la cosa che più lo infastidisce è se lo ignoriamo nel modo più assoluto, rivolgendoci a Dio e concentrandoci sul cammino verso di Lui. Se viviamo ossessionati dalla sua presenza occulta in ogni realtà che viviamo, saremo in preda alle nostre paure cadendo nel suo gioco. Occorre saper riconoscere dove si annida il male per combatterlo, ma rivolgendo tutte le nostre attenzioni a fare il bene come ci ha insegnato Gesù.

Penso che l’inferno sia qui sulla Terra dove c’è odio e non c’è amore: dove c’è guerra, miseria e sofferenza, indifferenza gli uni verso gli altri. Nell’al di là forse esisterà un luogo in cui chi ha scelto di vivere lontano da Dio continuerà la sua esistenza lontano da Lui. Ma essendo Dio un Padre, non chiuderà mai la porta in modo definitivo ad un suo figlio e continuerà ad attenderlo con le braccia aperte.

Creazione, evoluzione, intervento divino

Guardando la creazione del mondo in una prospettiva evolutiva, mi sembra che l’universo intero stia percorrendo un cammino da una situazione di maggiore disordine o caos, verso una situazione di maggiore ordine e complessità che si avvicina, a piccoli passi, verso una maggiore perfezione o compiutezza. In particolare gli esseri viventi, attraverso le mutazioni casuali del genoma, hanno la possibilità di evolversi verso forme sempre più complesse, fino a giungere attualmente agli esseri umani, che rappresentano la forma vivente più complessa esistente sul nostro pianeta.

Siamo l’ultimo anello di una catena evolutiva che ha avuto inizio milioni di anni fa dal primo essere vivente sulla Terra. Le leggi naturali che regolano questa ininterrotta evoluzione consistono principalmente in mutazioni casuali e selezione naturale dei risultati che funzionano meglio. Sembra che nel mondo creato in cui viviamo, anche la natura abbia un certo grado di casualità e di libertà di mutare ed evolversi sempre verso nuove forme. Questa libertà e casualità implica anche il rischio di mutazioni verso forme mal riuscite, che non funzionano bene, verso errori patologici che sono fuori dalla linea di evoluzione della vita verso forme più complesse e ordinate. E allora sorgono le deformità della vita, le disabilità, le malattie genetiche, il cancro contro cui ci tocca lottare. Queste patologie sembrano quasi gli effetti collaterali e indesiderati della libertà di evoluzione degli esseri viventi verso forme sempre più evolute e complesse. Così come l’uomo ha la libertà di decidere di fare il bene o il male, così nell’evoluzione della natura possono esserci sviluppi benigni o maligni, verso forme più perfette o più imperfette. Anche se in questi ultimi casi si tratta di una libertà nella natura che si può chiamare casualità, mentre la libertà dell’uomo di fare il bene o il male non è pre-determinata da leggi naturali ma in ultima istanza è scelta volontaria, anche se può essere condizionata da diversi fattori interni o ambientali. Mi rendo conto che è un discorso complicato, ma è un tentativo di interpretare le leggi naturali insite nel mondo in cui viviamo, che per chi crede è in origine creato da Dio.

Nel corso degli ultimi secoli le scoperte scientifiche hanno permesso a noi esseri umani di dare una spiegazione a diversi fenomeni che in passato si credevano frutto di intervento divino o del maligno. Dietro a fenomeni catastrofici come terremoti, uragani, siccità, epidemie o a fenomeni su corpo e la psiche umana come patologie invalidanti ed epilessie, oggi sappiamo che esistono leggi naturali secondo regole e meccanismi definiti, per cui in certi casi è anche possibile prevenire o curare certe manifestazioni. Ad ogni scoperta si aprono nuovi interrogativi e ulteriori campi di ricerca, per cui non si arriverà mai a conoscere tutto. Questo per dire che probabilmente i casi di diretto intervento divino sulla Terra, se ci sono, sono molto rari. Così come avvenuto in passato, potrebbe trattarsi di fenomeni che oggi sono inspiegabili perché ancora non conosciamo ma che forse in futuro sapremo spiegare come fenomeni naturali che rispondono a semplici leggi prestabilite.  Penso che la manifestazione del divino non sia da ricercare in fenomeni paranormali apparentemente prodigiosi che non riusciamo a spiegarci, ma che forse in futuro potremo spiegare. I veri miracoli succedono continuamente. E’ la creazione che ci circonda, seppure imperfetta. E’ l’amore che ci circonda, è lo spirito d’amore che ci lega tra noi esseri umani e Lui. Non c’è bisogno di diventare cacciatori di fenomeni paranormali per vedere Dio e credere, rischiando di correre dietro a facili suggestioni collettive che possono anche illudere e portare messaggi non evangelici che ci portano fuori strada. Non sono gli eventi prodigiosi di presunte apparizioni che ci devono muovere a credere. Il creato e l’amore che ci circonda sono i veri miracoli e segni che ci fanno vedere la presenza di Dio.

Chiamati alla libertà e non predestinati

Penso che non siamo predestinati ma chiamati. A volte sentiamo predicare che Dio ha un progetto su di noi e che sta a noi scoprirlo. Ma chi ha la linea diretta con lui per conoscerlo? Chi possiede le chiavi per accedere a queste verità? Penso che quando veniamo al mondo Dio non ha un progetto preciso su cosa dobbiamo fare e cosa dobbiamo diventare. Abbiamo delle capacità, dei talenti innati che possiamo sviluppare o trascurare, e delle debolezze a cui possiamo lasciare spazio o combattere. Ma non vi è nulla di prestabilito per il nostro futuro, nulla di già segnato, di una predestinazione. Il destino è nelle nostre mani, dipende dalle nostre scelte. Con le nostre capacità possiamo scegliere diverse strade, possiamo realizzarci nella nostra vita in diversi modi, davanti a noi si aprono continuamente diverse opzioni tra cui scegliere. Ci si affida a Dio perché ci aiuti col suo spirito quando le nostre forze non bastano. Ma un affidarsi eccessivo, sempre e comunque, pensando che il nostro destino sia già scritto ancor prima della nostra nascita può essere rassicurante ma anche de-responsabilizzante. Non dobbiamo dimenticarci della grande libertà che Dio ci ha donato e della conseguente grande responsabilità che abbiamo nelle nostre mani, nelle piccole e grandi scelte di tutti i giorni. Questa grande responsabilità che abbiamo a volte può farci paura, può farci tramare e paralizzarci, può farci sentire colpevoli in caso di errori o di omissioni, ma è la grande libertà che ci è data in questa vita, che possiamo spendere bene o buttare via.

Non siamo predestinati ma chiamati a fare delle cose grandi nella nostra vita, perché non dobbiamo dimenticarci che siamo creature capaci di cose grandi, che si realizzano in pienezza donandosi ai fratelli. E siamo liberi di rispondere a questa chiamata: Dio non può sapere come risponderemo, lo possiamo sorprendere o deludere a seconda della nostra risposta. Lui è sempre pronto ad accoglierci e a perdonare le nostre mancanze durante il nostro cammino, e ad aiutarci col suo spirito. Ma non può governare gli eventi, che sono la somma delle libertà di ciascuno. Non abbiamo un binario precostruito da percorrere, ma tante strade a disposizione lungo le quali scegliamo di camminare, l’importante è orientarsi verso la giusta direzione.

A queste conclusioni sono giunto dopo un lungo e tortuoso cammino, in cui ho cercato di leggere tra gli eventi della mia vita qualche segno del mio destino. Ma ogni segnale che mi è sembrato di cogliere si è sempre rivelato ingannevole, fuorviante, mandandomi fuori strada e procurandomi sofferenze. Ciò ha causato in me una specie di conflitto con Dio, che ho colpevolizzato di tutte le cose che mi sono andate storte nella vita, deteriorando la mia immagine di Lui. Ma noi non siamo burattini nelle sue mani in una storia che ha un copione già scritto. Non tutto ciò che accade dipende da Lui: se ci va bene non è grazie a Lui e se ci va male non è per colpa sua. Questa è una concezione sbagliata di onnipotenza che schiaccerebbe la libertà di noi esseri umani. Ci troviamo a vivere, come gettati in una situazione di vita il cui esito dipende in gran parte dalle nostre scelte e in altra parte dalle scelte degli altri uomini e dalle leggi precostituite della natura. L’unico intervento di Dio è nello spirito che anima le creature, quando queste liberamente lo accolgono.

Facendo un bilancio della mia vita, devo comunque ammettere che su molte cose sono stato fortunato, soprattutto per la buona famiglia in cui sono cresciuto e per il buon lavoro che non mi è mai mancato.

Vangelo di Gesù o Fedone di Platone?

La scoperta dell’importanza della spiritualità come il centro vero e profondo della nostra vita non deve farci dimenticare che noi abbiamo un corpo, anzi meglio dire che siamo un corpo. Un ostacolo che mi ha sempre impedito di vivere in armonia nella Chiesa cattolica è questa visione negativa della dimensione corporea e della sessualità, concepite come peccaminose e da reprimere, a favore della dimensione spirituale e intellettuale, ritenute positive e da sviluppare per avvicinarci a Dio. Vi è in­fatti una certa ascesi concepita come fuga dalla corporeità e dalla sessualità, intesa come disprezzo dei sensi e delle pulsioni istintive. La mortificazione del corpo è ritenuta una virtù da praticare tramite digiuni e astinenze per elevare l’anima a Dio. Ritengo che tali pratiche siano negative e che facciano leva su certe tendenze sado-masochistiche che sono innate in noi. Inoltre si alimenta un senso di colpa verso tutte le forme di cui si può godere dei piaceri che offre la vita, come se il piacere fosse una cosa da temere. Si tratta di un concetto che non ha certo aiutato l’equilibrio psico-affettivo di varie generazioni, bensì lo ha ostacolato e reso problematico. Questo distacco fra psiche e corpo operato dalla nostra cultura ha provocato una intellettualizzazione dell’uomo, che si manifesta in un certo disprezzo, che a volte rasenta la vergogna, del proprio corpo. Ma l’uomo non può essere “puro spirito”. Non diventa più spirito nella misura in cui si spoglia della sua istintività. Un simile concetto di “angelismo” è errato, in quanto nega l’unità psicoso­matica dell’uomo, che è formato da corpo e psiche interconnessi in modo molto stretto.

Nella sua opera “Fedone” il filosofo Platone rappresenta il corpo come “la prigione dell’anima”, che ci impedisce di elevarci verso Dio, un ostacolo per la nostra crescita umana. Questo dualismo tra corpo negativo e anima positiva, tra materia negativa e spirito positivo fa parte della cultura greca che ha influenzato nel Medioevo quella cristiana, ma non fa parte del cristianesimo delle origini. Sono concezioni ereditate dal Fedone di Platone e non dal Vangelo di Gesù. Questo non significa che possiamo vivere in modo narcisistico il nostro corpo o la sessualità senza regole, passando in modo schizofrenico dalle tante proibizioni di un certo tabuismo al permissivismo più sfrenato. Come abbiamo già visto, quando il piacere sessuale viene ricercato in modo sfrenato diventa un idolo, ed è una delle tentazioni più potenti e subdole che ci possono allontanare da una vita nell’amore di Dio, riducendo il partner ad un corpo che è oggetto di piacere. Il piacere e la corporeità, se non diventano degli idoli, non sono peccato ma fanno parte delle espressioni di amore in una vita radicata in Dio.

Tra le conseguenze di questa visione negativa della sfera sessuale c’è tutta una morale sessuale che detta regole minuziose da rispettare in camera da letto di come e quando compiere ogni atto sessuale. Probabilmente l’intento di fondo di queste tradizioni medievali era di limitare i rapporti sessuali precoci e prima del matrimonio per evitare gravidanze indesiderate. Ma oggi con le conoscenze mediche sull’apparato riproduttivo di uomini e donne questi rischi sono più limitati. Il divieto dell’uso del contraccettivo risponde ad una visione dell’atto sessuale che ha come unico scopo la riproduzione, con l’esclusione della legittimità di ricerca di dare e ricevere piacere in un rapporto d’amore. Anche in questo caso la sessualità è concepita come vizio da contenere e limitare. Sembra quasi che, se non servisse per la continuazione della specie, dovrebbe essere vietata del tutto. I voti di castità richiesti ai presbiteri e ai vari ordini cattolici vanno in questo senso, legando sessualità a peccato.

Se la morale cattolica adottasse la stessa severità e lo stesso metro applicato alla sfera sessuale verso il corretto uso delle proprie ricchezze, allora verrebbe fissato il limite massimo di reddito in euro sufficiente per la vita dignitosa di una persona e il resto dovrebbe essere versato a favore dei più poveri o per iniziative caritatevoli. Una norma morale che obbligasse il credente a privarsi del proprio denaro superfluo (fissandone la cifra esatta) a favore dei più bisognosi, avrebbe maggiore fondamento nel Vangelo, dove ci sono più condanne verso la ricchezza che verso i vizi del piacere. E invece no, si è preferito normare minuziosamente come e quando devono avvenire i rapporti sessuali, solo tra uomo e donna sposati e solo in certi giorni al mese se non si vuole o può riempire la propria casa di figli.

I rapporti omossessuali sono proibiti, non sono ritenuti espressioni di amore come tra uomo e donna perché contro la natura. In questo modo vengono segregate e colpevolizzate delle persone che si ritrovano a vivere dentro un corpo che non rappresenta le loro naturali inclinazioni, alimentando l’omofobia che è dentro e fuori la Chiesa.

Una tradizione che a volte tradisce l’autenticità

Oltre a questa visione negativa della dimensione corporea e della sessualità, ci sono altri aspetti in una Chiesa che mi sembra ancora troppo ancorata su tradizioni che hanno origine nel pensiero umano e fedeli ad una cultura di tempi medievali, ma poco radicate nell’annuncio evangelico di Gesù, che dovrebbe essere la vera stella polare, il primo e unico vero riferimento per un cristiano.

Innanzitutto c’è la vecchia figura del Papa Re, un uomo solo al comando infallibilmente ispirato da Dio. Si tratta di una concezione di potere totalitaria e temporale, che si esercita su territori e popoli, che ha condotto alla teocrazia dei Sacri Imperi fino al Romano Pontificio, dove la legge di Dio era legge corrente, così come oggi viene imposta la legge islamica (Sharia) negli Stati in cui vige l’Islam. Un Papa dal potere totalitario esercitato come Re che viene abbinato ad un’infallibilità ispirata da Dio, che quindi non ammette critiche o discussioni. Un delirio di onnipotenza che si è rivelato molto pericoloso per la Chiesa, che per secoli si è dovuta dedicare a questioni legate più a logiche di potere che di fede. Inoltre, la presunta infallibilità ha permesso il perpetuarsi di errori e deragliamenti perché, mancando la possibilità di riconoscere di avere intrapreso strade sbagliate, si continua ad errare senza poter tornare indietro e riparare. Ma il Papa è solo un uomo che viene investito dell’enorme responsabilità di guidare l’umanità verso Dio, con la possibilità di commettere errori come tutti gli uomini. Del resto Pietro, che fu il primo Papa, rinnegò Gesù per tre volte. Dagli Atti degli Apostoli emerge che tra Gesù e i suoi discepoli c’è una grossa differenza in termini di ispirazione da Dio, c’è uno scarto enorme tra Gesù e chi è stato chiamato a trasmettere il suo messaggio. Purtroppo la storia della Chiesa è anche costellata da tanti errori commessi in buona fede da uomini tutt’altro che infallibili. Dalle Crociate e altre guerre sante alla Santa Inquisizione, fino agli scandali di diversi Papi Re. Per fortuna nel tempo la Chiesa si è liberata di molte di queste pesanti zavorre, ma molta strada dovrà ancora percorrere per essere estranea a giochi di potere e vicina a tutti gli uomini, povera e umile, essere autentica come ci ha insegnato Gesù.

E poi c’è una concezione di Chiesa come esclusiva mediatrice tra gli uomini e Dio. “Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza”, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.846. Quindi l’amministratrice esclusiva di Dio e proprietaria esclusiva delle cose divine: i sacramenti, lo Spirito Santo e la verità stanno nelle sue mani e nessun’altra istituzione o realtà ha il potere di dispensarle. Anche qui c’è una Chiesa che pretende di essere l’unica via per arrivare a Dio, vuole avere l’esclusiva per mettere in contatto l’uomo e Dio e soprattutto l’esclusiva dei mezzi per potersi salvare e avere la vita eterna. Ma il Padre chiama ogni uomo o donna personalmente appellandosi alla loro coscienza per una vita d’amore come ci ha rivelato Gesù, che è il vero mediatore nella storia tra noi e Dio. Tra l’altro, una forma di amministrazione delle cose divine come la monetizzazione delle indulgenze, il perdono di Dio in cambio di denaro, è tra le cause che ha scatenato la divisione tra Chiesa cattolica e Chiesa protestante a partire dal 1517 con Martin Lutero.

Un altro aspetto, come ho già scritto, è che in certi ambienti della Chiesa permane un’avversità verso la psicologia e la psicanalisi, che sono visti come pericolosi concorrenti che sminuiscono i sensi di colpa e di auto-mortificazione e quindi sottraggono i fedeli al confessionale. Penso che invece si tratti di strumenti utili, che non servono a riempire di senso la nostra vita, ma a fornire indicazioni preziose per risolvere problemi di natura psicologica che possono ostacolare il cammino spirituale nella nostra vita. Il lettino dello psicanalista non è in concorrenza col confessionale del prete, in quanto sono su piani diversi. E’ un po’ come se la Chiesa fosse contraria alla medicina perché allevia le sofferenze e guarisce dalle malattie, mentre il credente deve soffrire per avvicinarsi a Dio.

Per fortuna è arrivato Papa Francesco, che sta cercando di smuovere dal di dentro molte incrostazioni che nei secoli hanno ricoperto la Chiesa di fardelli pesanti e fuorvianti, come la figura di un Papa Re o di una Chiesa ricca e potente. A restituire un’immagine più autentica di un Dio Padre e Madre che si prende cura di ogni uomo, che non si stanca mai di perdonare chi ha sbagliato, che è prossimo ad ogni uomo e donna, specialmente ai più poveri e sofferenti.

Pur tra mille limiti e incertezze, il mio desiderio rimane quello di abbandonarmi a questo Dio-amore che ho scoperto nella mia vita, bello, affascinante per il quale vale la pena dedicare la vita.

CAPITOLO 6 – I DUBBI E LE PERPLESSITA’ CHE ACCOMPAGNANOultima modifica: 2017-06-26T12:42:32+02:00da lucianorosso
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