CAPITOLO 8 – IL LAVORO ONESTO CON DIRITTI E DOVERI

“Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” (Papa Francesco)

Non elevare il denaro a nostro idolo, cioè non porre il guadagno e l’accumulo di denaro come obiettivo della nostra vita, ha come conseguenza che non si vive per lavorare ma si lavora per vivere. Sono nato e cresciuto in Piemonte e in particolare nell’albese, che è luogo di grandi lavoratori, di grandi imprenditori (le famiglie Ferrero e Miroglio le più famose), dove si respira una cultura del lavoro. Qui da noi il lavoro si trova o lo si inventa mettendosi in proprio. La provincia di Cuneo ha uno dei più alti tassi di imprenditorialità d’Italia. Insomma, qui da noi il lavoro è importante, si è abituati a rimboccarsi le maniche e a darsi da fare. I fannulloni sono visti male o con sospetto.

In una terra così, la tentazione di vivere per lavorare è forte. Per fortuna ho imparato fin da bambino da mio papà Aldo che il lavoro non è tutto nella vita, ma che è importante farlo bene ed in modo onesto. Mio padre ha sempre lavorato come dipendente per alcuni anni presso una ditta che distribuiva prodotti farmaceutici e poi come commesso e quindi impiegato in una banca. Ricordo che per la sua precisione nei conteggi era ricercato dai suoi colleghi anche quando era in ferie. Una volta mentre tutta la famiglia era in vacanza al mare ha dovuto lasciarci per una giornata intera per ritornare al lavoro e sistemare i problemi dai quali i suoi colleghi non riuscivano ad uscirne. Nonostante nel corso della sua vita mio padre abbia contato tantissimi soldi di altri (in banca e nel tempo libero per più di 40 anni le offerte alla parrocchia del Duomo di Alba), sono certo che non si è mai intascato 1 lira o 1 centesimo di euro che non fosse del suo stipendio mensile. Come esempio della sua onestà cristallina, ricordo che quando terminava il suo lavoro per avvisare la mamma che sarebbe tornato a casa faceva squillare per 3 volte il nostro telefono di casa per evitare una chiamata che sarebbe costata qualche lira alla banca in cui lavorava.

Oltre all’importanza di far bene il proprio lavoro e all’onestà, da mio padre ho anche imparato la capacità di accontentarsi di vivere con poche cose essenziali, di non bramare per avere tutto e subito e di non ostentare davanti agli altri le proprie ricchezze. In una città sempre più piena di cafoni che non perdono occasione per mettere in mostra l’abito più caro alla moda o l’auto di lusso, mio padre si è sempre vestito in modo semplice accontentandosi di guidare la sua “Bianchina”, o la sua “Prinz L” senza preoccuparsi minimamente di quanto la gente poteva dire di lui. Era sì un’epoca di ristrettezze economiche per una famiglia monoreddito che doveva pagarsi il mutuo sulla casa di abitazione, ma vissuta secondo il motto “chi si accontenta gode”. Eravamo una famiglia felice perché ci volevamo bene e questo ci bastava.

Dopo anni impegnati nello studio senza distrazioni, nel 1985 mi diplomai come ragioniere all’Istituto Tecnico Commerciale “Luigi Einaudi” di Alba con il massimo dei voti. Evitato il servizio militare, allora obbligatorio, per il mio fisico gracile, dal 1986 lavoro presso il gruppo Ferrero come impiegato e quindi come quadro. Devo ammettere che è stata una grossa fortuna nella mia vita avere superato la selezione per entrare a lavorare alla Ferrero. Forse mio padre avrebbe preferito se avessi lavorato in una banca come lui, ma la Ferrero è una grande azienda che offre le stesse sicurezze ed inoltre svolge un’attività seguendo modalità eticamente più elevate.

Chi lo vive tutti i giorni lo sa: il mondo del lavoro subordinato non è facile e semplice. I rapporti coi colleghi di lavoro e coi superiori possono essere buoni o cattivi, sono come i parenti che non te li scegli ma te li trovi così come sono. Ma il clima sul posto di lavoro è di vitale importanza, perché è il luogo dove vivi 8 ore al giorno, è quasi quanto il tempo che si vive nella propria famiglia. Allora diventa fondamentale il rispetto reciproco fra tutti i colleghi con le loro opinioni, anche quelli che ci stanno antipatici, che tifano per l’altra squadra o votano per l’altro partito. Un buon clima di lavoro significa buona e corretta comunicazione, una sana collaborazione che deve prevalere sulla competizione o sullo spirito di prevaricazione e dominio sull’altro. Non dobbiamo dimostrare di essere i più bravi per “fare le scarpe” a tutti, si lavora tutti per la stessa azienda, stiamo sulla stessa barca e quello che conta è il risultato collettivo. L’ambizione di carriera deve essere misurata sulle effettive capacità e limiti di ognuno, più che sulle conoscenze accumulate o sull’essere in simpatia ai propri superiori.

Se c’è una cosa che mi sono sempre rifiutato di fare è quella di “leccare i piedi” ai miei superiori, di prostrarmi di fronte ai capi per ottenere benefici. Ritengo giusto rispettare tutti, compresi i propri capi, ma la dignità personale non ha prezzo. Inoltre, un capo intelligente saprà apprezzare di più ed affidarsi ad un collaboratore capace anche di esprimere critiche o un’opinione contraria, piuttosto che ad un collaboratore che si limita ad eseguire gli ordini e a dire sempre di sì. Non credo che sia votata al successo un’azienda organizzata in modo strettamente gerarchico come in una caserma militare dove il superiore dà ordini e il subordinato esegue senza discutere. Senza l’apporto delle capacità di tutti e il coinvolgimento responsabile di ogni dipendente in un clima di collaborazione e di squadra si finisce per svilire e umiliare le potenzialità dei singoli. Un capo dittatore, per quanto illuminato che sia, farà molti più errori e prenderà decisioni sbagliate se non è capace di confrontarsi ed ascoltare i consigli dei propri collaboratori.

Nel rapporto di lavoro subordinato il lavoratore si trova in una posizione più debole rispetto al proprio datore di lavoro. Quest’ultimo potrebbe pretendere di tutto in termini di orario e prestazione, utilizzando la leva del possibile licenziamento in modo ricattatorio. Per impedire questi abusi di potere esistono delle leggi che regolano tali rapporti di lavoro. L’attività di tutela dei diritti del lavoratore subordinato è compito delle organizzazioni sindacali, che devono vigilare sull’applicazione di quanto previsto dalle leggi e dai contratti che sono stati firmati tra le parti. Si tratta di temi che ho sempre seguito con interesse da quando fui assunto in Ferrero, anche se per molti anni non mi ero mai tesserato ad una sigla sindacale perché indeciso tra la CGIL che mi sembrava su posizioni troppo rigide e massimaliste, piuttosto che la CISL a volte troppo remissiva verso i datori di lavoro. Nel 2006 fui contattato dal sindacalista della CISL Claudio Risso che mi convinse a tesserarmi e a candidarmi alle elezioni dei Rappresentanti Sindacali in Ferrero. Fui eletto e confermato nelle elezioni successive del 2009, 2012 e 2016.

A distanza di più di 10 anni dagli inizi di quest’avventura devo dire che sono contento della scelta che ho fatto. E’ un’attività faticosa, che si somma al lavoro ordinario quasi come un secondo lavoro, ma che mi permette di seguire l’andamento dell’azienda in cui lavoro con un orizzonte più ampio di quello ristretto al mio ufficio. Ma la cosa più importante è che mi permette di mettermi a servizio di tutti i miei colleghi per tutte le questioni che riguardano il rapporto di lavoro.

Fare il rappresentante sindacale oggi richiede molto equilibrio nel recepire i problemi e le richieste dei lavoratori, nel riportarle e formulare le proposte all’azienda, nonché contrattare le soluzioni. Bisogna saper filtrare i problemi veri da quelli pretestuosi, presentarli in maniera corretta ai tavoli di incontro e negoziare le risposte dell’azienda, nonché monitorare la loro messa in pratica. Inoltre è richiesta una certa preparazione in materia di diritti dei lavoratori, di contrattazione nazionale e aziendale, di calcolo in busta paga, di pensioni e previdenza integrativa, nonché di sanità integrativa.

Oltre a far parte del Comitato Esecutivo dei Rappresentanti Sindacali Unitari (RSU), una rappresentanza di 12 RSU sulle 36 elette che si incontra settimanalmente con l’azienda, faccio parte del Comitato di redazione de ‘L’Isola’, un giornale trimestrale delle RSU di Alba e Canale che viene distribuito a più di 3000 lavoratori, in cui mi occupo sia dei contenuti che dell’impaginazione grafica. E’ un esperienza interessante per un importante strumento di informazione tra i lavoratori, così come il sito internet della FAI-CISL della provincia di Cuneo http://faicislcuneo.blogspot.it/ che sono incaricato di gestire con la relativa pagina Facebook http://www.facebook.com/faicislcuneo. Inoltre faccio parte della Commissione bilaterale per la verifica degli indici P.L.O. (Premio Legato Obiettivi), che ha il compito di controllare il calcolo del premio di produttività annuale che spetta a tutti i lavoratori in base a certi parametri previsti dal contratto integrativo aziendale.

In certi periodi mi trovo ad essere l’unico rappresentante sindacale eletto per gli impiegati e i quadri Ferrero di Alba, che sono circa un migliaio, e questo mi carica di responsabilità perché avverto che quello che sono chiamato a fare, se non lo faccio io, non lo farà nessun’altro. E questo in un periodo di repentine trasformazioni e di passaggio generazionale ai vertici dell’azienda le cui ricadute sui lavoratori sono da tenere sotto stretto controllo. Per questo diventano sempre più importanti gli incontri del CAE (Comitato Aziendale Europeo) della Ferrero, dove ci troviamo coi rappresentanti sindacali di tutti gli stabilimenti dell’Unione Europea (Germania, Francia, Belgio, Polonia e Irlanda) e le controparti aziendali per discutere dei risultati economici e delle prospettive future del gruppo Ferrero.

Devo riconoscere che la Ferrero è una grande azienda che da sempre ha avuto un occhio di riguardo per i suoi lavoratori con un welfare avanzato (Fondazione per anziani, asilo nido per figli dipendenti, benefit vari che vanno oltre quanto previsto dal contratto nazionale dell’industria alimentare, ecc.) con la disponibilità e i buoni rapporti con la parte ‘datoriale’ che rendono più semplice la contrattazione sindacale. Però il contatto diretto con rappresentanti dell’azienda che per mestiere si occupano di contrattazione sindacale richiede una conoscenza approfondita degli argomenti che si vanno a trattare. Un compito impegnativo che cerco ogni giorno di svolgere con impegno e passione. Come mi ricorda spesso Franco Ferria, responsabile da diversi anni della Federazione alimentare CISL della provincia di Cuneo, il lavoro nel sindacato è una missione perché si devono affrontare una montagna di problemi e raramente si raccolgono soddisfazioni o riconoscimenti personali.

CAPITOLO 8 – IL LAVORO ONESTO CON DIRITTI E DOVERIultima modifica: 2017-06-24T12:45:11+02:00da lucianorosso
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